Parole d’autunno

Italia, 2022

Questo piccoli testi sono una sperimentazione letteraria nata nell’autunno ’22.
Avevo sentito dire in un corso che il modo migliore per acquisire confidenza con la scrittura è quello di scrivere tutti i giorni, per cui ho iniziato a riformulare pensieri e situazioni del quotidiano in forma artistica, giocando con le parole e modellandole nella testa.

Sicuramente il fatto che fosse autunno ha aiutato: è un momento dell’anno in cui sono abbastanza sensibile e maggiormente incline all’osservazione e introspezione – oltre ad essere in generale una stagione di pura poesia.
Il progetto si è quindi quasi fatto da solo..!

These small texts are a literary experiment from Autumn ’22.
I had heard in a course that the best way to gain confidence with writing is to write every day, so I started to give an artistic shape to thoughts and situations of everyday life, playing with words and modeling them in my head.

The fact that it was Autumn helped for sure: it’s a time of the year in which I am quite sensitive and more prone to observe and introspect – as well as generally being a season of pure poetry.
So the project was almost self-made..!

Questo piccoli testi sono una sperimentazione letteraria nata nell’autunno ’22.
Avevo sentito dire in un corso che il modo migliore per acquisire confidenza con la scrittura è quello di scrivere tutti i giorni, per cui ho iniziato a riformulare pensieri e situazioni del quotidiano in forma artistica, giocando con le parole e modellandole nella testa.

Sicuramente il fatto che fosse autunno ha aiutato: è un momento dell’anno in cui sono abbastanza sensibile e maggiormente incline all’osservazione e introspezione – oltre ad essere in generale una stagione di pura poesia.
Il progetto si è quindi quasi fatto da solo..!

La bise, il vento-bacio, si insinuava nell’aria con la stessa ambiguità della lingua francese nell’espressione dei sentimenti: non soffiava ma circondava; un po’ di sole da questo lato, qualche foglia che striscia sulla ghiaia, e tanta, tanta aria gelida.
Mi svegliò, di punto in bianco, il forte desiderio di togliere i tappi che isolavano le mie orecchie dal mondo esterno.
Come se il mio subconscio chiedesse di lasciargli assorbire i rumori della notte.
La verità è che i palazzi bloccano i miei pensieri.
Ogni idea che vuole essere un poco innovativa rimbalza tra muri, semafori e cartelli, e mi torna indietro tutta uguale, e per giunta ammaccata.
E, all’avvicinarsi dell’incrocio, mi sembrò normale desiderare che la macchina dietro di me proseguisse dritta – prendesse, insomma, un cammino diverso dal mio; non perché fastidiosa, veloce o maldestra, ma perché io ero impegnata a respirare libertà e volevo guidare piano.
Mi sono sempre piaciute le domeniche d’autunno in paese, quando all’ora di pranzo non si vede nessuno ma tra i vicoli si insinua, invisibile, serpeggiante, il profumo felice di castagne e salsiccia arrosto.
Le fiamme sciolgono qualsiasi nodo di tensione, al punto che, nel lasciarmi coccolare da loro, finisco assopita sul divano.
Nei minuti che seguono la pausa, il mondo si riempie col suono pesante del mio respiro. Inspiro, espiro, inspiro, espiro, inspiro, espiro. Un orecchio si stappa. L’aria è fresca ma gradita dalle braccia accaldate e dalla testa sudata. Inspiro, espiro, inspiro, espiro.
Man mano che l’affanno si placa, il corpo – dapprima leggero e sollevato per la fine degli sforzi – si sfredda e inizia a far emergere una serie di disagi: dolore all’interno cosce, dolore all’addome. Sgradevoli pulsazioni circolano e girano e rigirano, insistenti. La testa cerca distrazioni.
Infine, i dolori sfumano via come neve al sole. E nel frattempo il respiro è diventato così soave che il mondo si popola di canti di uccellini, ronzii di insetti e rintocchi di campane lontane. Ogni cosa riacquista colore.
Eccola, la bellezza del mondo, l’impermanenza di ogni sensazione. Aniccia.
Due sorsi d’acqua, e la bici richiama l’attenzione: si riparte!
Lenta ma persistente, cade da stamattina, bagna, appanna l’orizzonte, sfredda, diffonde nell’aria l’odore di fumo dei camini dei vicini.
Guardo la pioggia dal pollaio, seduta per terra, doppia felpa, vapore dalla bocca, coccolata nella sensazione di rifugio in me stessa.
La gelateria è chiusa. Il lago ha le onde. Le anatre nuotano controcorrente. Domani è autunno.
A lei dispiaceva lasciarmi sola nella sua camera, in un sabato mattina d’autunno soleggiante, mentre si apprestava a ritornare al lavoro in cantina. Ma io avevo dei piani entusiasmanti su come passare il tempo.
<< Non vedi i cuori nei miei occhi? >>, domandai.
Con la testa inchinata, il ticchettio del timer da cucina in sottofondo e gli occhi puntati su quella massa di farina e acqua che sarebbe poi diventata un buon pane, giuro che mi sembrava di veder l’impasto muoversi e respirare!
<< Come stai? Ecco vedi, il "come stai" è un problema. Non lo si dovrebbe mai chiedere se non si ha il tempo per ascoltare la risposta, o senza aver costruito prima uno spazio di intimità che permetta all'altra persona di non rispondere per convenzione. >>
Dipendeva tutto da me alla fine! Se accettavo di provare quello che provavo e di sentire le esigenze che sentivo, non c’era più altro da dire: ero fatta così e basta! E allora l’ansia che mi mordicchiava lo stomaco si rintanava in tutta fretta.
Il silenzio della notte è scandito dal suo soffice respiro. La pelle irradia un calore così forte che si è già aperto strada fino alla mia anima. Resto così, in dormiveglia, a riempirmi i polmoni col suo profumo. Sono al sicuro.
L’autista si presentó come Dimitri, e questo sembrò fornire una spiegazione al suo italiano spigoloso e alla disciplina ferrea.
<< Per problema di salute, caldo, freddo, malattia venite dire a me >>, esclamò, battendosi la mano sul petto.
Dunque ci squadrò uno per uno, severamente, e aggiunse: << No whiskey. No birra. No vino. No vodka su mio pullman >>.
Incurante dell’imminente cambio di stagione, il Lago di Como ribolle di valigie, traffico e borbottii in lingue aliene.
Le pareva quasi che le avessero fatto un torto, perché lei voleva proprio stare a casa sua da sola: muoversi su e giù senza rimanere bloccata in chiacchiere, fare le sue cose senza dover dare spiegazioni, creare un mondo di sua completa intimità dove poteva scegliere se ballare a tutto volume o se non ascoltare nemmeno un suono, nemmeno uno.
E così, presa da una rabbia che non sapeva definire bene ma che si era impossessata della sua testa, scriveva febbrilmente nel suo diario i tre punti positivi del giorno, pensando che in realtà non c’erano punti positivi; e calcando per bene la penna, come mai le veniva spontaneo fare. Usciva fuori un tratto grosso come la sua ira.
<< Il Camembert è arrabbiato. Ha preso un sapore forte oggi. >>
La Comunità dei Monti di Madri era baciata dal sole.
Trovai alcune novità: delle panche e tavoli, un angolino con i ceppi da ardere, qualche nuovo cartello di benvenuto.
Altre cose invece erano rimaste uguali: la yurta col suo profumo di legno, il lavandino attorno al quale avevamo condiviso il mate, le casette diroccate.
Non c’era un’anima viva, ma un grande senso di armonia fluttuava nell’aria.
Calpestavo un suolo di muschio e foglie dorate così soffice che quasi il piede saltellava ad ogni passo.
Davanti a me si presenta un contrasto interessante.
Da un lato tre esponenti della Milano perbene: in piedi e diritti; camicie stirate, braccia giunte che reggono una Bibbia all’altezza del petto, un cartello che annuncia che “si può essere felici, per sempre”.
Dall’altro tre giovani dalla pelle scura e l’alito alcolico, seduti su un carrello della spesa rovesciato, che quel messaggio della felicità permanente tentano di incarnarlo attraverso il fumo che esce dalle loro bocche beate. Probabilmente non sentono neanche la musica di dubbio gusto e dubbio volume che stanno loro stessi riproducendo, e noi passanti assorbendo.
Ricordi di posti di freddo, e di case ancora più fredde della mia casa fredda.
Alcuni di loro si arresero subito e caddero docilmente tra le mie mani; altri invece si intestardirono nell’attaccamento e dovetti usare la forza per portarli via con me.
Ma che potevo farci? Il 22 settembre i pomodori verdi non maturano più.
<< Avevo un giardinetto, circondato da palazzi da tutti i lati, sempre in ombra. E dico: no no no, io voglio sentire il sole sulla pelle, l'erba fresca sui piedini... >>
In quel momento la musica, più che arrivare dall’esterno, sembrava nascere dentro di me, circolare con calma nel mio spazio interiore e solo dopo materializzarsi nel mondo di fuori.
Ma prima di tutto partiva dalla mia anima. Con quel suo tono dolcemente roco raccontava di delusioni, confusioni e accettazioni, ma anche molto di più: rendeva vivi i miei ricordi di serate d’autunno, di labbra scottate dal tè caldo, di odore di legna in fumo, di foreste con la prima neve che scorrono dal finestrino, di cloro sulla pelle, di tappeti tristi di aghi di pino, di respiro che si trasforma in condensa, luci che si accendono nel primo pomeriggio e foglie rosse che cadono in silenzio.
Raccontava della bellezza nascosta dietro alla malinconia; della tenerezza celata oltre la tensione. Celebrava la vita nelle sue sfumature grigie, e la celebrava dentro di me!
E, non appena mi si apre davanti una piccola radura piena di rami secchi, gli occhi mi brillano. Quanti doni del bosco!
Mi accovaccio e, come una formica operaia, inizio ad accumulare, accatastare, riordinare per spessore, impilare e ficcare – con qualche imprecazione – dentro allo zaino (forse quest’ultimo punto non è tipico delle formiche operaie).
<< Che odore ho? >>, chiese.
Fu una scusa per affondare ulteriormente le mie narici sul suo collo.
<< Odore di amore >>, mi uscì.
Un po’ banale.
Il fatto è che non sapevo come descrivere, così su due parole, quel profumo così familiare e dolce, come un aroma di legno e vaniglia che accoglie il tuo rientro a casa e ti invita alla comodità, a toglierti le scarpe e sdraiarti sul tappeto morbido; ma che ti racconta anche dei boschi, del fumo che esce dal camino, dell’odore del cielo, del cielo, sempre più in là, sempre più su.
Che siano noci, castagne o fragole di bosco poco importa: se raccolgo qualcosa dalla natura, la passeggiata è già di per sé un successo.
Sono ancora una minoranza le foglie non più verdi che si staccano e volteggiano in aria.
Molte cadono nell’acqua, e allora il fiume le accompagna, dapprima lentamente e poi guidandole verso una serie di tornanti tortuosi e rapidi. Ma loro sono ancora precoci, troppo piene di linfa vitale per galleggiare docilmente; e così piano piano scendono, sempre più giù, fino a toccare il letto e cadere in un sonno profondo.
Mi sono svegliata prima del gallo. Anzi, forse forse il gallo l’ho svegliato io oggi.
Ah! Se lo meriterebbe!
L’insalata ha le cipolle crude.
Si dà il caso che io abbia già passato l’ultima notte a sfregare il palato e impastare la lingua, sperando ingenuamente di potermi liberare della loro invisibile ma ingombrante presenza.
Il mondo sembra piccolo da quassù: le casette non sono che miniature, le macchine semplici giocattolini.
A puntare gli occhi verso l’orizzonte le ansie tornano nei loro cassetti e il peso delle sventure evapora.
Bisognerebbe spegnere tutte le luci, quando si accende il fuoco, e stare fermi e zitti.
Che il fuoco illumina, si muove e scoppietta quanto basta a riempire l’intero spazio di un’anima.